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Dott. Ing. Roberto Piccin RADON CON ACQUA: UN PESSIMO COCKTAIL

RADON CON ACQUA: UN PESSIMO COCKTAIL

Breve storia del Radon


La radioattività naturale fu scoperta nel 1898, quando Marie Curie portò avanti le ricerche precedenti sui materiali radioattivi. In effetti però, già nel sedicesimo secolo Paracelso aveva notato l'alta mortalità dovuta a malattie polmonari, in seguito riconosciute come cancro, tra i lavoratori delle miniere d'argento nella regione di Schneeberg in Sassonia (Germania). L'incidenza di questa malattia, in seguito conosciuta come "malattia di Schneeberg", aumentò nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, quando l'attività nelle miniere di argento, rame e cobalto si intensificò. Nel 1900, il fisico F. Dorn scoprì che i sali di radio producevano un gas radioattivo, il radon. Misure effettuate nel 1901 nelle miniere di Schneeberg ne rilevarono un'alta concentrazione. Come risultato, fu presto lanciata l'ipotesi di un rapporto causa-effetto tra alti livelli di radon e cancro ai polmoni. Questa ipotesi fu rafforzata da più accurate misure del radon compiute nel 1902 nella miniere di Schneeberg e in altre, in particolare quelle di Jachymov in Boemia, da dove provenivano i minerali usati da Marie Curie. L'attività nelle miniere di uranio fu intensificata dal 1940, ma i livelli di radon non furono misurati regolarmente che dal 1950. Esperimenti su animali compiuti dal 1951 dimostrarono la potenziale cancerogenicità del radon per i polmoni delle specie testate. Rilevamenti epidemiologici tra i minatori di uranio, dalla metà degli anni sessanta, hanno infine confermato questo potenziale sull'uomo. Nel 1967 il Congress of Federal Research degli Stati Uniti propose delle raccomandazioni per controllare i rischi correlati alle radiazioni nelle miniere. Nonostante non ci fossero più dubbi sulla realtà del pericolo, (l'Organizzazione Mondiale per la Salute confermò ciò nel 1988), fu ancora necessario quantificare il rischio in termini di intensità di esposizione, per definire appropriati livelli di protezione. A tal fine, numerosi rilevamenti epidemiologici sono stati effettuati negli anni '80 in varie Nazioni, non solo tra lavoratori di miniere di uranio, ma anche di stagno e di ferro. Tali rilevamenti portarono a conclusioni convergenti. Nonostante il premio Nobel per la fisica Ernest Rutheford aveva fatto notare sin dal 1907 che ognuno inala del radon ogni giorno, misure di radon non furono effettuate nelle abitazioni private prima del 1956 (in Svezia). L'alto livello di radon rilevato in alcune case riscosse poco interesse in campo internazionale, perché il problema fu considerato esclusivamente locale.
Soltanto 20 anni dopo si iniziarono studi sistematici su larga scala in numerose Nazioni, che mostrarono che l'esposizione in ambienti confinati era diffusa e si potevano raggiungere livelli molto alti di concentrazione, comparabili a quelli delle miniere. La Commissione Internazionale per la protezione Radiologica (ICRP) sottolineò la vastità del problema per la salute pubblica e formulò specifiche raccomandazioni, nella pubblicazione numero 65 del 1993. Soltanto negli ultimi 10 anno abbiamo potuto affermare che il radon può essere alla base di uno dei più grandi problemi per salute pubblica. Già dal 1988 il gas Radon è stato incluso dallo IARC tra le sostanze di scura cancerogenicità per l’uomo, inserendolo nella categoria 1°.


Per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all'esposizione al radon in Italia, è stato dato l’avvio al Piano Nazionale Radon, preparato nel 2002 da una commissione del Ministero della Salute, comprendente esperti di diversi enti nazionali e regionali. Tale Piano prevede:

 

- la valutazione dei rischi associati all'esposizione al radon

- l'istituzione dell’archivio nazionale Radon presso l'Istituto Superiore di Sanità

- la mappatura della distribuzione territoriale della concentrazione di Radon negli edifici

- la messa a punto e l'avvio di un piano di informazione della popolazione e di gruppi specifici

- la produzione di linee guida per la prevenzione e la mitigazione della presenza del ga

- la predisposizione di adeguamenti normativi.

 

Ad oggi lo sviluppo e l’attuazione di questo Piano prosegue, attraverso le mille difficoltà determinate dall’assenza quasi totale dei fondi necessari.

 

Formazione del Radon

Il gas Radon si forma in prevalenza nelle rocce e nei terreni contenenti i suoi precursori, soprattutto nelle rocce di origine magmatica come i graniti e i porfidi, e diffonde al di fuori della struttura reticolare cristallina di tali minerali in seguito ad un fenomeno chiamato “di rinculo”, collegato alla particella alfa generata dal decadimento del Radio 226.
Il decadimento di un atomo di Ra-226 in uno di Rn-222 provoca l’emissione di una particella alfa dotata di una certa
velocità. Per il principio fisico di conservazione della quantità di moto, il nucleo di Radon venutosi a creare in seguito al decadimento, acquisisce un moto eguale ma opposto rispetto a quello della particella alfa. Ciò provoca l’espulsione, per il fenomeno chiamato “rinculo”, dell’atomo di Radon dal reticolo cristallino roccioso. Se tale fenomeno avviene sulla superficie della struttura minerale, esso viene emesso direttamente nell’ambiente esterno, altrimenti la migrazione attraverso gli strati del terreno del Radon può essere favorita dalla presenza di fratture o imperfezioni della struttura cristallina del corpo roccioso e anche da meccanismi di spinta convettiva da parte di altri gas presenti nel sottosuolo.

 

I figli del Radon

In circa quattro giorni di vita il Rn222 decade, dando origine ad una serie di isotopi radioattivi, non più in fase gassosa, bensì solidi, i cosiddetti "figli del Radon". Questi metalli ad emivita breve, che sono i veri responsabili degli effetti sull’organismo, attraverso i loro successivi decadimenti, emettono particelle α, β o γ. L'effetto dannoso legato al Radon è nella maggior parte dovuto proprio all’inalazione dei suoi prodotti di decadimento a vita breve, e cioè polonio-218, piombo-214, bismuto-214 e polonio-214, che sono i più significativi dal punto di vista sanitario. Questi elementi metallici hanno un tempo di decadimento breve, in media inferiore ai trenta minuti, ed, in quanto solidi, una volta formatisi possono aderire alle particelle di aerosol sospese nell’atmosfera, liberi o in cluster metallo-metallo. L'energia posseduta da una particella alfa è estremamente alta: essa, tuttavia, agisce solo a breve distanza, e per questo motivo la stessa epidermide umana, può schermare questo tipo di radiazione. Ben altro è il discorso quando questa energia alfa agisce all’interno dell’organismo, veicolata attraverso la respirazione o l’ingestione. I metalli radioattivi, prodotti dal decadimento del Radon, presentano una notevole affinità chimica per le molecole biologiche contenenti gruppi fosfati (per esempio, fosfolipidi e acidi nucleici) o sulfidrilici (come la cisteina, il glutatione, gli ossianioni e molte proteine). Per questo motivo, tali metalli non si trovano negli organismi nello stato di ione libero, ma sempre legati alle biomolecole.

 

Le vie di esposizione al Radon


Nella popolazione generale la maggiore esposizione avviene al chiuso, soprattutto in edifici di piccole dimensioni come le abitazioni private (UNSCEAR2000). La maggior parte del gas Radon presente nell’aria in una casa proviene dal suolo sul quale essa è costruita e si diffonde nell’ambiente indoor attraverso crepe o fessurazioni del pavimento o dei muri, quasi esclusivamente però solo negli ambienti a contatto con il terreno, come i piano-terra, i garages e le cantine. Ma, e questo è da non sottovalutare, il Radon può anche provenire dai rubinetti o da altre vie di ingresso idrico, se l'acqua utilizzata, per gli scopi più vari, contiene del radon disciolto, e tra l’altro, questa via d’ingresso rende del tutto insignificante la collocazione di quel particolare ambiente rispetto al terreno, potendo il gas essere veicolato anche ai piani superiori. Ricordiamo che l’acqua, oltre che esser bevuta, viene utilizzata dall’uomo per innumerevoli altre attività, comunque connesse con gli atti quotidiani della vita, siano essi individuali, come ad esempio il farsi la doccia o lavare le stoviglie, o collettivi quali ad esempio l’utilizzo delle piscine pubbliche o delle fontane, l’utilizzo per scopi irrigui nelle coltivazioni dei campi ecc. L'esposizione ad acqua contaminata può avvenire quindi sia per ingestione che per inalazione di Radon emesso dall’ acqua stessa. Il rischio di cancro derivante dal rilascio di Radon provenienti da fonti idriche per i diversi usi domestici (doccia, lavaggio delle stoviglie, ecc) era generalmente considerato molto maggiore del rischio legato all’ingestione di acqua potabile contenente Radon (NRC 1998), considerando la capacità di tali fonti di produrre, in associazione con il particolato indoor presente, un aerosol radioattivo inalabile, con effetti gravi sulle mucose dell’albero respiratorio . Fortunatamente la quantità di Radon rilasciata nell'aria interna da fonti idriche è molto inferiore a quella proveniente da fonti a terra sotto la casa, ma questo rimane comunque un problema che contribuisce ad accrescere, e non certo a ridurre, i rischi per la salute dei residenti.

 


Il Radon nell’acqua

Se i terreni, ad esempio quelli situati sotto le falde freatiche, sono saturi d’acqua, il Radon presente si dissolve nell’acqua stessa e viene così trasportato anche a considerevole distanza. La sua capacità di entrare in soluzione è funzione della temperatura: più è fredda l’acqua, maggiore è la solubilità del Radon. Una delle caratteristiche della solubilità del gas in acqua è descritta attraverso il cosiddetto “coefficiente di solubilità”, ovvero il rapporto della concentrazione del Radon in acqua su quella in aria. A 20°C il coefficiente di solubilità atteso è circa 0.25, il che significa che il Radon è riscontrabile in aria in un rapporto di 4:1 rispetto a quello riscontrabile in acqua. Forse proprio per la variabilità di riscontro in soluzione e per la sua solubilità inferiore, il problema del Radon nelle acque è stato negli scorsi anni tenuto in minore considerazione rispetto a quello della sua presenza nell’atmosfera degli ambienti confinati. Solo negli ultimi anni, in considerazione della maggior coscienza della pericolosità di questo gas e basandosi correttamente sull’assunto che non vi è alcun limite di concentrazione nota al di sotto della quale l'esposizione al radon non presenta alcun rischio per la salute, ogni fonte di emissione radioattiva nota è sottoposta a particolare sorveglianza ed a norme più severe.
Generalmente nelle acque di fiumi e ruscelli non è presente una grossa quantità di Radon, visto che il gas diffonde in gran parte nell’ aria circostante; in quelle abitazioni quindi che vengono rifornite da questi corsi superficiali, viene
rilevata solitamente una bassa concentrazione di Radon in acqua. Anche per quanto riguarda, il rifornimento idrico degli acquedotti delle grandi città, il processamento dell’acqua in grossi sistemi aperti permette l’aerazione della stessa e quindi la perdita del Radon dovuta ancora alla diffusione nell’aria; inoltre la maggior parte del Radon rimanente decade in genere durante i lunghi tempi in acquedotto necessari per raggiungere la abitazioni. In molte aree di campagna, al contrario, l’acqua di pozzo è usata come principale risorsa idrica. I piccoli impianti realizzati a tale scopo sono spesso costituiti da sistemi chiusi e non areati e poiché inoltre sono generalmente posti nelle vicinanze del luogo di utilizzo, il breve tempo di transito nelle condutture fa sì che solo una piccola percentuale di Radon decada e che la maggior parte rimanga disciolta nell’acqua. Se quest’ultima viene utilizzata per bere, viene ingerita anche una quantità di Radon non trascurabile. Se quest’acqua viene invece utilizzata in altro modo, per fare la doccia, lavare vestiti o piatti, può costituire comunque una fonte di pericolo perché contribuisce all’aumento della concentrazione di Radon nell’aria che viene respirata.

 


Effetti sulla salute

Il rischio principale posto dal Radon è quello del cancro ai polmoni. Il Radon-222 è stato classificato dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro come cancerogeno per l'uomo, ed inserito nella categoria 1A. Inoltre, così come è stato largamente dimostrato che il fumo del tabacco è responsabile della gran parte dei tumori ai polmoni negli uomini e nelle donne, gli studi sugli effetti combinati dell'esposizione al Radon e al fumo delle sigarette mostrano che l'effetto totale di tali esposizioni è molto maggiore della somma dei due effetti. In altre parole il fumo aumenta considerevolmente il rischio di tumore ai polmoni correlato al Radon e viceversa. In più, il Radon da solo è la seconda causa di cancro al polmone dopo il tabacco. Si ritiene generalmente che l'esposizione al fumo di sigaretta e Radon siano sinergici, e che l'effetto combinato sia superiore alla somma dei loro effetti singoli. Questo perché le sostanze derivate dal decadimento del Radon sono veicolate dalle particelle di polvere inalate nel fumo, e sono quindi in grado di depositarsi nei polmoni a vari livelli. Infatti il particolato aspirato durante il fumo si lega con particelle attive ed irradia le vie aeree ed i polmoni, provocando dei danni biologici diretti. Molto meno invece è stato studiato l’effetto dell’esposizione al Radon determinata dall’ introduzione diretta per ingestione dell’acqua o, in misura ridotta, attraverso alimenti contaminati. A seguito di questi processi, Radon e figli vengono facilmente incorporati e, attraverso le mucose dell’apparato digerente e il torrente ematico, distribuiti ai vari organi e tessuti, principalmente fegato e tessuto adiposo, potendo in questo modo produrre danni a livello molecolare in vari distretti. Gli effetti sulla salute determinati dall’esposizione al Radon ed ai prodotti del suo decadimento sono condizionati da numerosi fattori. Sicuramente i più importanti da valutare, nell’ottica delle patologie correlate, sono:

 

  • La concentrazione del gas nell’ambiente, solitamente espressa in Bequerel su metro-cubo (Bq/mc), dove un Becquerel rappresenta una disintegrazione al secondo.
  • La concentrazione nelle acque per uso alimentare o domestico, solitamente espressa in Bq/l
  • La dose di radiazione ionizzante, sia essa alfa, beta o gamma, assorbita dall’organismo, solitamente misurata in Gray (Gy), che corrisponde alla cessione di un Joule di energia per chilogrammo corporeo
  • L’età del soggetto esposto
  • Il fumo di tabacco, in particolare quello delle sigarette

 

Ricordiamo che gli effetti provocati da radiazioni ionizzanti possono essere distinti in somatici e genetici. I primi interessano i diversi tessuti dell’organismo, i secondi colpiscono le cellule deputate alla riproduzione causando alterazioni genetiche nei discendenti dell’individuo irradiato. I danni possono verificarsi in conseguenza a irradiazioni acute o a effetti cronici derivanti da esposizioni meno alte ma continuate. Le radiazioni agiscono per l’energia che depongono nei tessuti, e tale fatto dà luogo a fenomeni di ionizzazione, con lesioni di strutture biologiche. Per esposizioni a dosi elevate di radiazioni ionizzanti, i danni sono acuti e gravi, e compaiono rapidamente, al di sopra di una certa soglia di esposizione. Al di sotto di quella soglia, che ricordiamo essere variabile in relazione ai descritti fattori concomitanti, le radiazioni producono un rischio di danno all’organismo, che diminuisce con la dose, ma non è mai nullo. Lo studio epidemiologico BEIR VII del 2005, condotto dalla National Academy of Science, riporta che ogni piccola dose di radiazione pone in essere il rischio di generare un cancro. In esso si afferma che gli effetti stocastici, cioè quelli che non dipendono dalla dose assorbita, che derivano da danni al nucleo cellulare e in particolare al DNA e che non si manifestano subito potendo essi verificarsi o meno in un futuro imprecisato, si verificano quando una cellula, modificata dalla ionizzazione, conserva la capacità di dividersi, potendo dare luogo a una patologia neoplastica maligna. Per tali tipi di effetti si ribadisce non esistere una dose soglia. Comunemente si considera che il rischio sia direttamente proporzionale alla dose totale assorbita, sia perché gli studi statistici mostrano questa proporzionalità, sia per la considerazione che ogni singola particella radioattiva assorbita può provocare danni. La probabilità di sviluppare un tumore dipenderebbe quindi dalla dose complessiva assorbita nel tempo. Ma purtroppo per dosi molto piccole assunte per un lungo periodo di tempo, come avviene spesso nei casi di inquinamento indoor da Radon, i tumori determinati da queste esposizioni sono difficili da discriminare rispetto a quelli dovuti ad altre cause. Vi sono infatti grosse difficoltà statistiche ad accertare in modo significativo, con l’osservazione epidemiologica diretta, i tumori indotti rispetto alla massa dei tumori con altra etiologia, tranne nel caso del cancro del polmone, ove ormai indiscutibilmente è stata dimostrato il nesso di causalità con l’esposizione al gas Radon. Tale indubbia considerazione non conferisce altresì alcuna valenza certa di non pericolosità alle esposizioni riguardanti altri organi o sistemi del corpo umano.

 


Metodi di misurazione del Radon nell’acqua

Un metodo rapido di misura della concentrazione di Radon è quello realizzato attraverso l’ utilizzo di uno scintillatore
liquido. Il campione di acqua viene prelevato, evitando il contatto con l’aria, e viene trasferito direttamente in una fiala riempita preventivamente con uno scintillatore liquido solubile in acqua; come risultato si ottiene una soluzione di scintillatore e acqua, nella quale si misureranno con un rivelatore a stato solido il numero delle tracce rivelate. Sono stati sviluppati degli scintillatori che riescono ad effettuare le misurazioni in acqua direttamente in situ, senza la necessità del prelievo del campione in provetta. Un altro metodo di misura consiste nell’ estrazione del Radon dal
campione di acqua attraverso una tecnica di gorgogliamento e nella successiva misura dell’ attività. Infine, attraverso il conteggio dei radiazioni emesse dai figli del Radon, è possibile risalire alla concentrazione di tale gas utilizzando le tecniche di spettrometria standard.

 


Metodi di attenuazione

Le strategie principali per la riduzione del Radon nell’acqua di pozzo, messe in atto al punto di entrata nella casa sono:
in una autoclave, l'aria viene fatta gorgogliare attraverso l'acqua, o l'acqua stessa viene spruzzata o mandata a cascata su filtri che trattengono il radon e lo separano dall’acqua che poi entra in casa. Altra tecnica e quella di utilizzare dei filtri a carbone attivo, ma tale tecnica, pur meno costosa appare quella con caratteristiche di successo inferiori agli altri metodi. Come detto, si tratta di tecniche di attenuazione e non di totale abbattimento dei valori presenti, quindi la miglior strategia da utilizzare per evitare di essere esposti ai rischi di acqua contaminata è semplicemente quella di evitare di utilizzarla per usi alimentari o comunque domestici!

 


La posizione dell’Unione Europea

Nel 1998 l'Unione Europea elaborò la Direttiva del Consiglio 98/83/EC sulla qualità dell'acqua destinata a consumo umano, rivedendo i valori parametrici della vecchia Direttiva sull'acqua del 1980 e rinforzandoli ove necessario, in conformità ai dati scientifici disponibili all’epoca (linee guida OMS). Tale direttiva escludeva però completamente il Radon come sostanza su cui esercitare azione. Con la Raccomandazione del 20 dicembre 2001 (2001/928/Euratom), volta alla tutela della popolazione contro l’esposizione al Radon nell’acqua potabile, il Radon e i suoi prodotti di decadimento furono esplicitamente inclusi tra le sostanze aventi, in particolari circostanze, un rischio di dose per la popolazione. La concentrazione di 1000 Bq/l venne indicata come valore al di sopra del quale le azioni correttive erano da considerarsi giustificate dal punto di vista radioprotezionistico, mentre il valore di 100 Bq/l veniva considerato come livello al di sopra del quale valutare l’opportunità di misure volte alla tutela della salute umana. Per quanto riguarda invece piombo e polonio, prodotti di decadimento a lunga vita del Radon, utilizzando la dose indicativa di 0,1 mSv/anno, venivano ricavate come concentrazioni utili ai fini delle successive valutazioni di eventuali azioni di mitigazione , limiti rispettivamente di 0,1 Bq/l per il Po-210 e 0,2 Bq/l per il Pb-210. Più recentemente la Direttiva del Consiglio del 28/03/2012 stabilisce i requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano, stabilendo i parametri, la periodicità ed i metodi per il controllo di tali sostanze, in particolare definendo le azioni verso il Radon ed i suoi prodotti di decadimento, considerati finalmente come fattori di rischio per la salute umana.

 


La situazione normativa in Italia

A differenza della gran parte dei Paesi europei, l’Italia non ha una normativa sul Radon nelle abitazioni e non ha recepito la raccomandazione europea 90/143 EURATOM del 1990, mentre si sono avute solo alcune sporadiche iniziative locali. I luoghi di lavoro viceversa, a differenza delle abitazioni, sono ora soggetti ad una normativa di protezione dall’esposizione al Radon, inserita in una norma più generale di protezione dalle radiazioni ionizzanti, ovvero il D.L. 241/00. Tale Decreto recepisce la Direttiva 96/29/EURATOM, modificando ed integrando il precedente D.L. 230/95, relativo allo stesso argomento. Successivamente sono state effettuate alcune limitate correzioni ed integrazioni con il D.L. 257/01. La pubblicazione del Decreto Legislativo 241/2000 ha introdotto per la prima volta nella legislazione italiana il concetto di radioattività naturale prevedendo valori di soglia però solo per gli ambienti di lavoro e gli uffici pubblici. Gli ambienti residenziali, ai sensi di legge, restano quindi per ora, fuori dal controllo del Decreto. Per le acque destinate ad uso umano, sia quelle potabili dal rubinetto, soggette al D.L. 31 del 02/02/2001, sia quelle in bottiglia, regolamentate dal D.M. 31/05/2001, sono allo studio modifiche parametriche che tengano conto delle ultime direttive europee. Il Consiglio Superiore di Sanità ha raccomandato comunque che la concentrazione di Radon nelle acque minerali e imbottigliate non superi i 100 Bq/litro (32 Bq/litro per le acque destinate ai bambini e ai lattanti).

 


Conclusioni

Il gas Radon costituisce oggi in Italia la seconda causa di cancro al polmone dopo il fumo di tabacco. L'opinione pubblica è spesso inconsapevole dei rischi connessi con il Radon in ambienti chiusi, ed è molto importante quindi l’opera di informazione e prevenzione per tutti i cittadini. Ecco che dobbiamo soffermarci su un principio molto importante e spesso sottostimato; non vi è alcun limite di concentrazione nota al di sotto della quale l'esposizione al Radon non presenta alcun rischio. Anche basse concentrazioni di Radon possono determinare un aumento del rischio di cancro ai polmoni o di altre patologie correlate. Ed ancora va ribadito che il rischio di esposizione determinato dall’uso di acqua di falda contaminata non è necessariamente trascurabile e può rappresentare anzi un rischio importante per la salute.
Proprio questo tipo di rischio correlato all’acqua dei pozzi, può facilmente essere abbattuto, laddove ci fosse una corretta percezione del pericolo, semplicemente evitando di usarla. Dal Radon è possibile oggi difendersi attraverso la messa in atto di semplici e non particolarmente costose azioni di risanamento e prevenzione a livello degli edifici, ma è nella coscienza dei cittadini e dei loro amministratori che deve affermarsi il principio di prevenzione dei rischi da gas Radon, ancora troppo spesso misconosciuti e sottovalutati.

Autore di riferimento: Francesco Maiuri
Tecnologo CNR-ITC

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